“Non voglio essere chiamato un “buon perdente”. Mostratemi un buon perdente ed io vi mostrerò un perdente“. Si può riassumere così la vita di Stu Ungar, al tavolo da poker e non solo. The Kid avrebbe oggi 66 anni e se n’è andato da 22, ma tutti noi continuiamo a ricordarlo come uno dei migliori di sempre.
La vita non esattamente tranquilla della sua famiglia lo ha avvicinato al poker in men che non si dica. Il fatto di essere cresciuto con un padre che gestiva un club dedicato al gioco d’azzardo ha fatto il suo. Dopodichè è venuto fuori tutto il talento nel newyorkese, anche per via di legami non esattamente esaltanti.
Stu Ungar e gli inizi
La conoscenza del gangster Victor Romano gli consentì di affinare ancor di più la tecnica nel gioco d’azzardo. E lo aiutò anche nel gestire il suo personaggio – con un ego abbastanza forte – contro gli avversari. Basta raccontare un episodio per svelare a tutti chi fosse Stu Ungar quando non lasciava parlare le carte. Una volta, un giocatore che non lo apprezzava per il suo eloquio, volle colpirlo con una sedia, salvo poi essere trovato morto qualche giorno dopo.
Insomma, un grande giocatore ma con una altrettanto grande protezione umana alle sue spalle. E dire che il poker sarebbe entrato in un secondo tempo nella sua vita, e per cause del tutto fortuite. Stu era un grande giocatore di gin rummy, ma dato che vinceva troppo fu escluso dal giro, e così decise di dedicarsi al poker.
Così, a 27 anni Stu Ungar giocò le sue prime World Series of Poker, non con una nomea così grande. Ma alla fine, come sempre accade, i fatti gli diedero ragione e persino Doyle Brunson dovette inchinarsi. Questo fu il primo Main Event, ma dodici mesi dopo arrivò il bis con l’heads up vincente contro Perry Green.
La droga e la morte
Fu questo l’inizio di una carriera scintillante per Stu Ungar, il quale non era però uno dal “gioco facile”. Non erano tantissimi i tornei che venivano giocati dal newyorkese, anche per via dei problemi di natura personale. In primis il divorzio dalla moglie Madeline, dovuto in particolare al suicidio di Richie, figlio avuto da lei in una precedente relazione.
Una situazione che avvicinò in maniera sensibile Stu alla cocaina. Anche su consigli di alcuni colleghi del tavolo verde, che ne facevano uso per restare lucidi nelle tante ore di gioco. L’episodio delle WSOP del 1990, in cui fu ritrovato riverso nella sua camera d’albergo privo di sensi, fu solo uno dei tanti.
La tossicodipendenza camminava a braccetto con la sua immensità ai tavoli da gioco. E nemmeno la forza di volontà datagli dalla figlia riuscì a tenerlo in vita oltre i 45 anni. Alla fine, fu una stanza dell’Oasis Motel di Las Vegas l’ultimo posto nel mondo in cui è stato Stu Ungar. Una vera leggenda, un personaggio che disegna in tutto e per tutto la rappresentazione del gambler, nel bene e nel male.